Quando l'arte e le sette note fanno cultura a 360 gradi

Quando l’arte e le sette note fanno cultura a 360 gradi

Le copertine dei dischi intendiamo quelli di vinile ha ragione Stefano Causa, sono come i quadri.
Viene subito, per primo, in mente la doppia, icastica, immagine molto forte di Wish You Were Here dei Pink Floyd (1975), opera di Storm Thorgerson e dello studio fotografico Hipgnosis, che disegnò le
copertine anche di Led Zeppelin, Yes, Genesis, UFO, Peter Gabriel, Emerson, Lake & Palmer e The Alan Parsons Project. A venire in mente è Magritte: i colori sono quelli e la raffigurazione paradossale è la stessa del masso sospeso con il castello o del giorno che fu anche notte.
Due le immagini, una in cover, l’altra in cartolina con i bordi intagliati. La prima, due uomini speculari che si stringono la mano mentre a uno va a fuoco la giacca.
L’altra, che sbuca a sorpresa dalla fodera del disco, uno che si tuffa in un mare immoto tra pericolose stalattiti, sembra un fotomontaggio. Il primo invece non lo è: uno stuntman ci rimise i baffi, per quello scatto. In back cover, poi, ancora più Magritte, ma con denuncia esplicita: The Salesman è
il venditore, il colletto bianco delle case discografiche, che offre un disco trasparente e ha ai piedi una valigetta con i sogni di chi glieli affida. Diciamo tutto questo perché sappiamo che in quel periodo i Pink Floyd erano amareggiati per il tragico declino di Cyd Barrett, leader e fondatore a cui l’Lsd frisse il cervello. Il legame con l’arte di Barrett, che dipingeva anche, è forte: diceva di voler essere il Pollock della musica.
Che cosa significavano dunque le copertine? Il gruppo lo chiese specificamente allo studio fotografico: dovevano raffigurare un’assenza. La nostalgia di un fantasma. In fondo leggere un quadro è
lo stesso: se ne dà un’interpretazione, ma bisognerebbe collocarlo nel suo tempo per capirlo davvero, e non ci sono sempre o non tutti hanno gli strumenti. E allora, via con le letture personali. Causa, storico dell’arte che dimostra di avere la stoffa del critico e dello storico della musica (possiede 10 mila dischi) ci trascina in un folle frullatore di storia, geografia, pittura e sette note. La sensazione, sulle prime, è di mancanza di ossigeno. Poi s’accorda chitarra, piano e batteria e si prova l’ebbrezza della cultura a 360 gradi. Per Causa (e non solo) la copertina più iconica è In the Court of the Crimson King dei King Crimson, 1969, pietra miliare del rock progressive, autore Barry Godber, morto a soli 24 anni, un anno dopo averla realizzata. Causa ingiunge di non lasciarsi tentare da azzardati paragoni con Munch o Bacon. Allora Espressionismo tedesco, che pure deforma? No, dice che è Surrealismo.
Godber portò il dipinto alla band senza sapere che il brano principale era 21st century schizoid man. Certo, la critica è fatta anche di dischi da correre. s. cer.