Finalmente la mitica agenda di Gianni Minà non è più segreta

Troisi aveva ragione: la sua agenda esiste e ora si può ammirare ai Magazzini fotografici di Napoli in una mostra

Massimo Troisi aveva ragione, e adesso abbiamo le prove: l’agenda telefonica di Gianni Minà non solo esiste, ma dentro c’è veramente il numero di telefono di Cassius Clay (segnato come Muhammad Ali), e c’è anche quello di Toquinho. Assieme a moltissimi altri, come quelli di Gilberto Gil, Caetano Veloso, Mahalia Jackson, Elis Regina (mai in ordine alfabetico, chissà come faceva lui a raccapezzarsi) debitamente fotografati e ingranditi nella specialissima mostra «Fame di storie» dedicata al grande giornalista scomparso il 27 marzo scorso e che si inaugura oggi nelle sale dei Magazzini Fotografici, «presidio culturale» eroicamente aperto sette anni fa da Yvonne De Rosa (anche rigorosa selezionatrice e curatrice delle immagini proposte) in via San Giovanni in Porta, nel cuore del quartiere di San Lorenzo a Napoli.
Il progetto

Una mostra – alla cui inaugurazione parteciperà anche Rosaria Troisi, sorella di Massimo, testimone di un’amicizia con Gianni non limitata al celebre sketch tv dell’agendina – che è il prestigioso biglietto da visita della Fondazione Gianni Minà (da lui stesso creata pochi mesi prima della morte per proteggere e valorizzare il frutto filmico e cartaceo di oltre 60 anni di carriera) e che fa da apripista all’altro progetto della fondazione guidata da Loredana Macchietti Minà, moglie e compagna di avventure di Gianni: il volume, anch’esso intitolato «Fame di storie», che raccoglie in un prezioso album del cuore le foto (e gli appunti relativi ad esse) con cui Minà ci racconta il suo giornalismo. Che, come la vita per l’amico Vinicius de Moraes, è essenzialmente l’arte dell’incontro: con Maradona e con Mennea, con Scorsese e con Proietti, con Amado e con Sepúlveda, con Ray Charles e con il gruppo dei Moncada (quelli che secondo Troisi litigavano tra loro per rispondere quando arrivava la telefonata di Minà), con il subcomandante Marcos e con Fidel, insomma dovunque lo portasse il senso della notizia, il carisma dei personaggi, e il gusto di raccontare l’una e gli altri.

Il libro-diario

Intervistando, filmando, scrivendo. Libro-diario ricchissimo e spiazzante, anch’esso «napoletano» perché napoletano è l’editore Roberto Nicolucci, che lo ha presentato ieri nella sua sede di piazzetta Nilo assieme alla Macchietti Minà e allo storico Gennaro Carotenuto. Avrebbe dovuto esserci anche Alessandra Riccio, ispanista di valore dell’Orientale, «voce» di Cuba (e amica carissima di Gianni, direttrice con lui della rivista «Latinoamerica») scomparsa purtroppo giorni fa. Ma perché proprio Napoli come palcoscenico per la prima uscita di una fondazione intitolata a un torinese, sia pur di origini siciliane e paladino infaticabile di tutti i Sud del mondo? Loredana Macchietti Minà non ha dubbi: «Ma Gianni credeva moltissimo in questa città. Diceva sempre che la rinascita culturale e politica dell’Italia doveva passare di qua. E ha anche predetto con molto anticipo la vittoria del terzo scudetto.. io gli dicevo “e tu che ne sai?”, ma lui era uno che fiutava le storie prima che gli altri le vedessero».
Visionario

Minà il Visionario, convinto – come gli aveva detto uno dei suoi primi maestri, Antonio Ghirelli, tanto per cambiare un altro napoletano – che occuparsi di sport era un pretesto per raccontare la realtà, che era capace di risparmiare sul cibo per affittare un elicottero e riprendere dall’alto per la Rai il megaraduno rock dell’isola di Wight nel ‘70 (ultima esibizione di Jimi Hendrix, «mi ero perso Woodstock, non potevo perdermi anche questo«), che detiene il record mondiale di durata di interviste con Fidel Castro (16 ore filate), che seppe parlare con Maradona sia nella buona che nella cattiva sorte, che una sera a cena da «Checco er Carrettiere» a Roma riuscì a sintetizzare in un’istantanea divenuta icona il meglio della cultura, dello spettacolo, dell’impegno civile degli anni ‘80: in un abbraccio Gabriel García Márquez, Sergio Leone, Muhammad Ali, Robert De Niro.
La macchina da scrivere

E, ultimo a destra, sorridente e sornione, lui, Gianni Minà. L’uomo che faceva le domande giuste al momento giusto. E infatti in mostra c’è anche la sua macchina da scrivere, la mitica Olivetti Lettera 32 azzurrina. Nel carrello non c’è un foglio, ma un QR Code. Lo inquadri col cellulare, e ascolti la sua voce che fa le domande. Però non senti le risposte. Nessuna risposta. Io ho «indovinato», credo, quelle rivolte a Scorsese, De Niro, Carrà, Pantani. Ma non si vince niente, solo la nostalgia di quando il giornalismo era il giornalismo.

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