Dischi da correre con….Causa!

Stefano Causa, Dischi da correre, Roberto Nicolucci Editore, 2022

Evento da incorniciare. Una casa editrice nuova nuova che si presenta al mondo proponendo come primo prodotto un volume su un pezzo importante ma poco nobilitato della cultura materiale del Novecento, il vinile, con la sua regina: la copertina. Quella pulsione che ci spinge a comprare un disco prima ancora che la puntina tocchi il solco, quel fascino che è un insieme di sensazioni che emanano dalla… cover e che spesso non ha ancora (a volte mai) a che fare con il contenuto musicale. Torniamo al nostro libro. Titolo azzeccato che invita a una fruizione veloce ma intensa. Formato quadrato, come se avessimo tra le mani un 45 giri d’antan. Carta patinata lucida ideale per le belle immagini, una scanzonata prefazione di Roberto Nicolucci e i testi di Stefano Causa, storico dell’arte moderna e contemporanea. “La nostalgia è uno sfogo che tende a ripresentarsi come un herpes. Comprammo Heroes al prezzo di una o due paghette. Una volta a casa, al riparo dai rumori del mondo, mettemmo il vinile sul piatto (a fine anni ‘70 la cosmogonia di un adolescente non sono solo tempeste ormonali e letture a distesa, ma puntine e bacheche, mentre alta fedeltà significa una cosa che non tocca i rapporti interpersonali” (p.63). La magia della forma-vinile e l’effetto nostalgia, descritti mirabilmente. Causa sceglie dischi per ogni decennio senza privilegiare -come fanno tanti, anche con qualche ragione- il magico arco temporale compreso tra la metà degli anni Sessanta e la fine del decennio successivo. Quindi a fianco di canoniche copertine (e relative considerazioni su) Beatles, The Who, Doors, Pink Floyd, Led Zeppelin, Jethro Tull, Genesis, abbiamo anche dischi degli anni Ottanta. “Lo Zeitgeist direbbero coloro che sanno e che – ogni volta che si trovino a raccontare gli anni di Reagan, della caduta del Muro, delle top model e della Milano da bere – calano un tris d’assi: Night and Day, Diamond Life di Sade e The Nightlife di Donald Fagen (quanta notte nel decennio!)” (p.65). Partendo da Sade, Causa propone un illuminante confronto di copertine tra pop e jazz, la qual cosa ci ricorda come il graphic design abbia una storia ricca che precede (e influenza) le patinate cover dei dischi anni Ottanta. La splendida immagine di Diamond Life è quindi: “una parafrasi di quella di un capolavoro del pianista e compositore afroamericano Thelonious Monk, anno 1964. Stesso fondo nero con scritta del cognome; stessa banda in basso col ritratto d’artista. Ma dove Monk, cappello e sigaretta, è sghembo, obliquo, urticante sgradevole, strafottente geniale. Sade è il contrario: un cuscino perfetto” (p.76). Questo esempio ci mostra come il design frulli l’arte a piacere e sia capace di incorporare elementi per i propri scopi, cambiandone anche il segno. Su una intelaiatura grafica sostanzialmente simile si distendono due significati diversi: dove Monk è maledetto e alternativo Sade è sofisticata e mainstream. Fine ultimo del libro è ovviamente stimolare altre visioni di quadri e opere della storia dell’arte o di compulsare ulteriori copertine di vinili, o ancora di perdersi in ascolti musicali importanti. Così la bellezza nutre altra bellezza e il mondo procede un po’ meno disperato del solito.

da magazzino jazz