Da Bowie a Elton John e Tina Turner e altre star: le copertine che hanno fatto la storia del rock

Lo storico dell’arte Stefano Causa ha scelto in un libro venti dischi dagli anni ’60 agli ’80 per l’immagine e la musica: è una di quelle selezioni che fanno discutere amiche e amici. Dai Beatles ai Nirvana, dai Clash a Renato Zero, aggiungiamo tre titoli di anni fa che studiano questo rapporto fecondo

di Stefano Miliani

David Bowie appare nella foto magistrale in bianco e nero tra eleganza e riflessi esistenzialisti nella copertina di Masayoshi Sukita per il disco berlinese “Heroes” del 1977; quale “migliore copertina di sempre” figura “il faccione rosso cremisi” disegnato da Barry Godber per il disco d’esordio dei King Crimson del 1969 “In the Court of the Crimson King”; i Beatles ricorrono con due album inclusa la geniale e in pagina bianca del soprannominato “White Album” del 1968 firmata da Richard Hamilton; Tina Turner è la sensualissima 45enne di “Private Dancer” del 1984 fotografata da Peter Ashworth: con una spiccata preferenza per il rock britannico e restando nel territorio anglosassone lo storico dell’arte napoletano Stefano Causa elegge le sue venti copertine  più riuscite di dischi con il sintetico e gradevolissimo libro “Dischi da correre” pubblicato da Roberto Nicolucci editore (90 pagine, 18 euro, prefazione di Roberto Nicolucci).

Una selezione faziosa (infatti Warhol qui non lo trovate)

Una selezione “arbitraria, incompleta, faziosa”, mette in chiaro l’autore quando ognuno di noi ha le sue copertine preferite, per “una storia dell’arte  di copertine bislacche, scostumate, che non ci stanno a rimanere nei ranghi”. Ovvero riconosce ed esalta l’originalità valutando anche le musiche, la componente sonora, non solo quella visuale. Va da sé che anche lo studioso cerca un percorso originale. Tanto per intendersi: la celeberrima banana di Andy Warhol per i Velvet Underground qui non la trovate.

Immagini da dentista

Con queste copertine Causa disegna una storia culturale legata al supporto fisico e dagli anni ’60 arriva agli ’80. Senza nostalgia, rievoca quel piacere familiare a chi comprava dischi (e li acquista oggi) nel rimirare le immagini degli album a 33 giri, poi ridotto in scala dal più freddo cd. Va però dato conto dell’autore: laureato nella seconda metà degli anni ’80 con Mina Gregori e Ferdinando Bologna, la scheda editoriale lo descrive “longhiano”, vale a dire nella scia di quello storico dell’arte e scrittore sopraffino e originalissimo qual è stato Roberto Longhi. Il serissimo studioso peraltro condisce d’ironia i suoi appunti: i dentoni nella copertina psichedelica dei King Crimson la rendono adatta ai “dentisti”, mentre il monolite di “Who’s next” degli Who è “degno di minzione” e allude palesemente al monolite di “2001 Odissea nello spazio” di Kubrik.

Esperto d’arte contemporanea, Battistello Caracciolo e i caravaggeschi, di pittura italiana e francese del ‘900 (sempre dalla sintesi per il libro), Causa fa capire quanto lo appassionino il rock e il pop con una prosa brillante e ricca di calembour azzeccati. E si incunea in un filone che accosta rock, pop, jazz & affini e pratiche artistiche visive perché molti musicisti erano e sono assai sensibili all’apporto visivo e non per ragioni di marketing quanto per affinità, per necessità di comunicare qualcosa oltre il suono.

Copertine oniriche e copertine stilizzate

Qui abbiamo una selezione estrema, si diceva. Non può mancare l’onirico dipinto da Paul Whitehead per i Genesis dell’era Peter Gabriel con la donna dalla testa di volpe in un paesaggio costiero per “Foxtrot” del 1972. Né Causa si fa sfuggire il “Captain Fantastic and the Brown Dirt Cowboy” del 1975 di Elton John con copertina di un Alain Aldridge memore di Hieronymus Bosch e del surrealista Max Ernst. Come apprezza molto lo stilizzato disegno in blu, bianco e nero con New York e pianoforte di Joe Jackson per il suo “Night and Day” del 1982: “Una specie di Luca Della Robbia reinventato sulle rive dell’Hudson” di cui apprezza assai, come in ogni album presentato, i brani.
Stupisce magari solo la copertina conclusiva, la foto di Tim O’Sullivan per l’album del 1985 “Songs from the Big Chair” dei Tears for Fears. “Sono in posa due ragazzotti di ventiquattro anni, sfrontatamente e orgogliosamente privi di appeal […] il Bowie di Heroes aveva chiesto a un fotografo giapponese di costruire un racconto sul volto e le mani. Qui il gioco consiste nell’assoluta assenza di gioco”. Appunto: di copertine così ce ne saranno state chissà quante altre, inserirla tra le magnifiche 20 ci sembra un onore immeritato. Come logico, Causa è di tutt’altra opinione.

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